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Crocifissioni vere

La guerra in Ucraina, meditazioni della Via Crucis e due libri-testimonianza su un moderno perpetuo calvario e sulla generosa e solidale presenza di associazioni

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Un’antica tradizione della Chiesa vuole che al calar della sera il giorno volge alla fine. Siamo quindi ormai oltre la Pasqua e i giorni del triduo di celebrazioni. Quel triduo che - come abbiamo raccontato anche su Valsinello.net, Histonium.net e Sansalvo.net – per cultura e tradizione popolare e religiosa vede uno dei suoi momenti fondamentali nella Via Crucis del Venerdì Santo. Venticinque mesi dopo la solitaria preghiera in piazza San Pietro di Papa Francesco, iconica nel suo rappresentare l’angoscia e lo smarrimento di quelle prime settimane di pandemia, segno importante dei tempi e delle speranze future sono state proprio le Vie Crucis di quest’anno in ogni comunità. Con lo sguardo di tutta la cristianità universale rivolto, oltre due anni dopo, al ritorno in presenza col popolo nel cuore della Chiesa. Le meditazioni della Via Crucis in Vaticano quest’anno si sono concentrate sull’angoscia della guerra e l’importanza della Pace di fronte alla nuova guerra in Ucraina. 

Tra i tanti drammi di questa guerra, documentata e testimoniata da giornalisti indipendenti, associazioni e istituzioni internazionali, la tratta di donne e bambine. Quella tratta che è stata al centro delle meditazioni dell’ultima Via Crucis in presenza prima dell’arrivo della pandemia. 

In una notte gelida di gennaio, su una strada alla periferia di Roma, tre africane, poco più che bambine, accovacciate per terra scaldavano il loro giovane corpo seminudo attorno ad un braciere. Alcuni giovanotti, per divertirsi, passando in macchina hanno gettato del materiale infiammabile sul fuoco, ustionandole gravemente. In quello stesso momento, è passata una delle tante unità di strada di volontari che le ha soccorse, portandole in ospedale per poi accoglierle in una casa-famiglia.

Pensiamo ai bambini, in varie parti del mondo, che non possono andare a scuola e che sono, invece, sfruttati nelle miniere, nei campi, nella pesca, venduti e comperati da trafficanti di carne umana, per trapianti di organi, nonché usati e sfruttati sulle nostre strade da molti, cristiani compresi, che hanno perso il senso della propria e altrui sacralità. Come una minorenne dal corpicino gracile, incontrata una notte a Roma, che uomini a bordo di auto lussuose facevano la fila per sfruttare. Eppure poteva avere l’età delle loro figlie.

Signore, per la terza volta sei caduto, sfinito e umiliato, sotto il peso della croce. Proprio come tante ragazze, costrette sulle strade da gruppi di trafficanti di schiavi, che non reggono alla fatica e all’umiliazione di vedere il proprio giovane corpo manipolato, abusato, distrutto, insieme ai loro sogni. Quelle giovani donne si sentono come sdoppiate: da una parte cercate e usate, dall’altra respinte e condannate da una società che rifiuta di vedere questo tipo di sfruttamento, causato dall’affermazione della cultura dell’usa-e-getta. Una delle tante notti passate sulle strade a Roma, cercavo una giovane giunta da poco in Italia. Non vedendola nel suo gruppo, la chiamavo insistentemente per nome: “Mercy!”. Nel buio, l’ho scorta accovacciata e addormentata sul ciglio della strada. Al mio richiamo s’è svegliata e m’ha detto che non ne poteva più. “Sono sfinita”, ripeteva … Ho pensato a sua madre: se sapesse che cosa è accaduto alla figlia, piangerebbe tutte le sue lacrime.

Uomini, donne e bambini sono comprati e venduti come schiavi dai nuovi mercanti di esseri umani. Le vittime della tratta sono poi sfruttate da altri individui. E infine gettate via, come merce senza valore. Quanti si fanno ricchi divorando la carne e il sangue dei poveri!

Chi ricorda, in quest’era di notizie bruciate alla svelta, quelle ventisei giovani nigeriane inghiottite dalle onde, i cui funerali sono stati celebrati a Salerno? È stato duro e lungo il loro calvario. Prima la traversata del deserto del Sahara, ammassate su bus di fortuna. Poi la sosta forzata negli spaventosi centri di raccolta in Libia. Infine il salto nel mare, dove hanno trovato la morte alle porte della “terra promessa”. Due di loro portavano in grembo il dono di una nuova vita, bimbi che non vedranno mai la luce del sole. Ma la loro morte, come quella di Gesù deposto dalla croce non è stata vana. Tutte queste vite affidiamo alla misericordia del Padre nostro e di tutti, ma soprattutto Padre dei poveri, dei disperati e degli umiliati.

Sono questi alcuni stralci delle meditazioni scritte da Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata e presidente di Slaves no more (Mai più schiave). Testimonianze vere, reali, incarnate che ci raccontano di calvari dei giorni nostri e di volontari che cercano di schiodare donne di ogni età, anche bambine, da questi moderni disumani calvari. Storie che ci appaiono lontane, una realtà che sembra appartenere a luoghi distanti. Realtà solidali come On the Road, la Comunità Papa Giovanni XXIII e la campagna “Questo è il mio corpo” sono in realtà attive anche nel nostro territorio. Testimoniando che è possibile, e doveroso, opporsi e liberare vittime che esistono anche non molto distante dalle nostre tiepide case. Come Sonia, una ragazza di Benin City in Nigeria che a 14 anni perse entrambi i genitori. Indotta con l’inganno, le fu promesso di poter lavorare in Libia come parrucchiera, finì nella schiavitù dei trafficanti sessuali. Dalla Libia raggiunse Bologna dove scappò raggiungendo la nostra regione. Incontrò On The Road che la aiuto ad ottenere i documenti, il permesso di soggiorno e un lavoro vero. La storia di Sonia è una delle tante raccontate in questi anni da Maris Davis, testimonianze che ha pubblicato anche nel suo libro “Storie vere - Sfruttamento e schiavitù sessuale, tratta di esseri umani. Storie realmente accadute, violenze efferate, e sullo sfondo la mafia nigeriana in Italia” uscito nel novembre scorso. «Ogni santo giorno avrei voluto morire … ero stanca e depressa ma nessuno, dico nessun cliente, ha avuto pietà di me. Alla fine del 2003 ero la controfigura di me stessa, sempre ammalata e febbricitante, ero ridotta ad uno straccio che avrebbe voluto chiudere gli occhi per sempre». Sono invece frasi tratte dal libro di Maris Davis Parlo di me (Senza Paura): Schiavitù sessuale e mafia nigeriana. Una ragazza nigeriana giunta in Italia prima di compiere 21 anni e per anni prigioniera delle mafie nigeriane, ripetutamente violentata per tre giorni dai suoi aguzzini. «Mi dissero che dovevo imparare il mestiere». Maris trovò la forza di ribellarsi e denunciò i suoi sfruttatori, che la ritrovarono e la rapirono nel maggio 1999, portandola in Spagna. Dove continuò il suo calvario fino al 2003 quando, ammalata e quasi in fin di vita, fu abbandonata in una delle stazioni di Madrid. Due anni dopo le venne diagnosticato un cancro alle ovaie in stato avanzato. Fu salvata grazie ad una complessa operazione chirurgica, che le ha salvato la vita. Ma non potrà mai diventare madre.  È tornata in Italia. Oggi si batte per dar voce alle vittime delle mafie nigeriane. Un calvario che ha molti tratti in comune con un’altra vittima di tratta Lilian Solomon, morta il 1° ottobre 2011 qui in Abruzzo, e la cui storia vera è stata denunciata e raccontata tante volte negli anni da Maris Davis. Lilian a 23 anni fu costretta a prostituirsi, prima in Lombardia e poi sulla bonifica del tronto, e ad abortire ingerendo medicinali ed alcolici. Quando gli operatori di On the road la incontrano per la prima volta Lilian soffriva da tempo di fortissimi dolori. Erano i sintomi dell’avanzata di un linfoma. Ricoverata nel reparto di Oncologia dell’Ospedale di Pescara è morta il 1° ottobre 2011. Le sue denunce portarono a due delle prime operazioni contro le mafie nigeriane tra Abruzzo, Marche, Puglia ed Emilia Romagna. 

In occasione del decennale della morte di Lilian Solomon due sodalizi attivi anche nel nostro territorio, Associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink, insieme con WordNews.it proposero un suo ricordo e sottolinearono come esistono – a cavallo tra Abruzzo e Molise – l’inferno e l’impegno per il contrasto e la solidarietà concreta con donne e bambine.  Come la già citata Comunità Papa Giovanni XXIII e la campagna “Questo è il mio corpo”. La Comunità è presente fisicamente nel nostro territorio e sue unità di strada sono impegnate costantemente soprattutto nella zona metropolitana Pescara-Chieti. Da quest’associazione, fondata dal compianto don Oreste Benzi, viene la quotidiana testimonianza di don Aldo Bonaiuto, direttore editoriale del quotidiano online nazionale cattolico InTerris e varie volte ospite dell’Abruzzo negli anni scorsi. “Donne crocifisse, la vergogna della tratta raccontata dalla strada”, con prefazione di Papa Francesco, è il libro di don Aldo pubblicato tre anni fa. Nel libro di don Aldo Bonaiuto, scrisse il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII Giovanni Paolo Ramonda, «riecheggiano le voci delle donne crocifisse, liberate dalla schiavitù della prostituzione. Nei capitoli sono disseminate le reali violenze subite, le sevizie e le minacce ripetute».  

 

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