In questa terza puntata, si arriva così a spiegare perché il peccato originale sia stato un rischio calcolato per Dio: perché, per consentire all’uomo di andare oltre i suoi limiti e di fargli scoprire, o riscoprire, la propria natura divina, già da quest’inizio dei tempi, ma anche prima, il Creatore pensò alla storia della salvezza, mediante l’invio del Figlio (come ci dice anche la grande Teologia)con l’obiettivo di risanare, migliorare, o, come si direbbe oggi, ottimizzare il piano della Creazione con un nuovo e migliore progetto di Umanità, (la mia teologia, invece, se proprio la si vuole definire tale, è spicciola, umanizzata e umanistica, della porta accanto).La storia della salvezza, quindi, non viene assolutamente toccata, né sminuita da tale impostazione.
Il Figlio, naturalmente, è Gesù e, come già si è affermato nell’articolo. Il Battesimo di Gesù, comparso su “Immi” di Natale del 2015, è tale, sia in quanto [...] può legittimamente spingersi a considerarlo come emanazione di Sé e quindi come Figlio Suo [...], sia in quanto rappresenta l’Uomo nuovo, anzi il nuovo prototipo, ovvero il modello principale di uomo a cui ispirarsi per Dio, compiacendosene, ossia prendendone atto con soddisfazione, perché si presenta
[...] con tutte le caratteristiche morali e le qualità che aveva stabilito per il progetto originario dell’umanità a propria immagine e somiglianza, ossia di un uomo pienamente consapevole della propria origine divina e della forza creativa in bellezza e bontà che da tale origine deriva e che non sia più influenzato, avendoli definitivamente superati, dai limiti iniziali della parte bestiale e incosciente dell’essere umano, ovvero dai danni di ciò che è chiamato “peccato originale” [...],
mentre Maria diventa la “nuova Eva”, perché la propria speciale origine divina Le è stata rivelata nell’Annunciazione e da Lei proclamata con il «Magnificat».
Tutto questo cerca di far capire anche Paolo, distinguendo tra Adamo come uomo “terreno” e Gesù come uomo celeste, nella sua prima lettera ai Corinzi, ossia ai cristiani di Corinto (1Cor. 15, 45-49):
[....] Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che 45il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. 48Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. 49E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste. [...]
Gesù, inoltre, dice di se stesso e della Sua condizione e missione, in Gv. 10,17-18, nel celebre discorso del Buon Pastore, terminato davanti ai Suoi discepoli, ma iniziato davanti ai farisei, ossia sempre, in qualche modo, di fronte a “colleghi” teologi, competenti delle “cose del Padre Suo” (come Nicodemo, che quindi rappresenta un personaggio importante per Lui, non solo come necroforo, “chi si occupa del funerale, becchino”, come si vede nel mio articolo a lui dedicato), certamente più dei suoi discepoli, o delle folle un po’ sbandate come “gregge senza pastore”:
[…] 17Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio”. [...];
in cui il verbo “amare” della frase iniziale deve essere inteso in senso molto ampio e generico, perché racchiude in sé molti altri verbi più specifici, come “mi vuole così”, ”mi ha progettato così”, “ si compiace di me” ed in cui, come si vede, la “funzione” del Figlio è appunto quella di offrire la propria vita per la salvezza, essendo perfettamente consapevole di poterla riavere in qualunque momento, cioè di essere praticamente immortale, liberandoci, a pensarci bene, anche dai malintesi sensi di colpa per averLo fatto soffrire nella Crocifissione, soprattutto per noi contemporanei, che non ci sentiamo direttamente responsabili per ciò.
Si arriva così a rispondere anche all’altra questione posta indirettamente dall’ultimo verso del «Padre Nostro...»: se, cioè, il male, inteso come proprio limite individuale, sia connaturato all’essere umano, a causa appunto del peccato originale, che glielo ha fatto scoprire; peccato originale concepito, come si è visto, quale consapevolezza di se stessi, oppure se sia opera di un’entità personale malvagia, il diavolo o Satana che dir si voglia, che lo spinge a fare il male stesso.
A giudicare da un’altra risposta data da Gesù ai farisei, che accusavano i suoi discepoli di non fare le abluzioni prescritte dalla Legge per non contaminarsi, e riportata in Mc, 7,14-15;20-22, sembrerebbe che Gesù sia favorevole alla prima ipotesi:
[...],14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: "Ascoltatemi tutti e intendete bene: 15non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo". 16.
20Quindi soggiunse: "Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. 21Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, 22adultéri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. [...]
Ciò per chiarire, appunto, che il male proviene dall’interno della testa e del cuore dell’uomo, e non c’è niente, quindi dall’esterno che possa contaminarlo, anche se è pure vero come un bambino che cresca in un ambiente in cui si fa regolarmente il male, sia “naturalmente” portato a farne anche lui, visto che non ha mai conosciuto il bene o gliene mancano i relativi riferimenti: quindi si può dire che male e bene sono ugualmente presenti nella nostra vita e devono esserlo perché l’uno aiuta a riconoscere l’altro e quindi la separazione avverrà solo alla fine dei tempi, anche perché solo Dio sa come districare quella inestricabile matassa di bene e male, che è il cuore dell’uomo e lo sa ben soppesare.
Sembrerebbe dunque, che il male sia solo interno all’uomo, anche se poi, a contraddire, almeno parzialmente, questa affermazione, vi è tutto quello che accade a Gesù stesso nel deserto, durante i famosi quaranta giorni da cui derivò poi la nostra Quaresima, di come cioè fu tentato da una bella entità personale malvagia, chiamata diavolo o Satana, o tutti gli altri nomi del caso, (rappresentato dal cinema come un vento impetuoso parlante, e, ultimamente, come un distinto signore in giacca di Armani, o che veste Prada, come recita il titolo dell’omonimo film, Il diavolo veste Prada), che Lo porta sul monte, sul pinnacolo del Tempio e via dicendo, o tutti gli episodi dei Vangeli, in cui Gesù stesso parla con gli spiriti malvagi che si impadroniscono dei poveri malcapitati di turno, li mette a tacere e poi li caccia via, o tutte le entità cacciate via dagli esorcisti in tutti questi secoli, che albergavano in quelle povere persone tormentandole con dolori e sofferenze inaudite.
Probabilmente, allora, sono reali entrambe le tipologie, ossia per la maggior parte degli individui il male risiede all’interno dello stesso essere umano, invece per alcuni individui particolarmente ricettivi o percettivi, come per alcuni santi che ne sentono l’azione, il male nei loro confronti viene esercitato da uno spirito personale malvagio, ma anche da esseri umani in cui quella parte maligna purtroppo sembra agire peculiarmente, come i “caporali” del filmSiamo uomini o caporali? Del 1955, i cui sceneggiatori (tra i quali Vittorio Metz e lo stesso regista Camillo Mastrocinque) ironicamente chiamano così, quegli individui che perseguitano con prepotenza e soprusi di ogni tipo le persone buone o deboli. Tra tutti costoro ricordiamo San Paolo, che in 2Cor.,12,7 scrive di avere accanto: «un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia», un Satanello personale, dunque, e San Pio da Pietrelcina, il quale affermava di aver dovuto combattere tante volte contro il diavolo, che la notte tentava di farlo cadere anche dal suo lettuccio.
Tutta questa disquisizione rischia però di farci dimenticare il nostro tema principale, ossia quello del peccato originale, nel cui racconto abbiamo lasciato i nostri progenitori Adamo ed Eva alle prese con le “punizioni”, ovvero poco più che constatazioni (parto con dolore per le donne, lavoro con sudore per gli uomini ed andatura sul proprio ventre per la specie di serpente responsabile), disposte da parte di un indulgente, perspicace e persino un po’ ironico Creatore, che, dopo di ciò, provvede a mandare via la prima coppia dal Paradiso terrestre, cioè, fuor di metafora, l’Umanità dalla sua prima fase evolutiva, ovvero ancora, come ci dice la paleoantropologia, cioè la scienza che studia l’evoluzione dell’uomo, l’uscita del “sapiens” dal Corno d’Africa, per diffondersi nel corso dei secoli in tutto il mondo, dando poi inizio alla preistoria (e guarda caso, l’immagine che il testo biblico ci restituisce è proprio quella classica del cavernicolo :«[...] 21Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì. […]») e, in seguito, alla storia con i vari popoli e civiltà.
Il racconto del peccato originale si chiude, così, con la cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva, con i cherubini e ciò che sembra un cannone laser, messi a guardia di quest’ultimo, fino a quando Gesù, non ci riaprì, con la sua Morte e Resurrezione, le porte del Paradiso e la possibilità così di acquisire la vita eterna, simboleggiata da quell’albero, appunto della Vita, che i nostri progenitori non potettero toccare, perché prematuro. Anche la letteratura si è occupata dell’argomento “peccato originale” e relativa perdita del Paradiso iniziale, ad esempio con l’opera Il Paradiso perduto del 1667 dell’inglese John Milton.
A questo punto, qualche lettore potrebbe dire: ma che significa tutto questo per noi?
Significa che, quanto più ciascuno di noi si sforzerà di assomigliare nella propria vita all’”Uomo nuovo”, al prototipo Gesù, tanto più, con il Suo aiuto, il Padre si compiacerà anche di lui e potrà così andare oltre i propri limiti di uomo soggetto al dolore, alla morte e a tutti gli altri effetti negativi che si è visto derivano dal peccato originale, riscoprire ed accrescere la propria origine divina e, dopo la morte, poter mangiare pure del frutto dell’altro albero dell’Eden, quello della Vita, ovvero conquistare la vita eterna (intesa anche come gioia, salute, amore, bellezza e tutti i lati positivi di questa vita, estesi e potenziati all’infinito), ossia, ancora, andare in Paradiso, o, come concluse Dante la sua cantica del «Purgatorio»… “salire alle stelle”.
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